Khiva, un tuffo nel passato |
L’aria condizionata non funziona molto e viene utilizzata per raffreddare un po’ una bottiglietta d’acqua che precedentemente aveva raggiunto temperature utili sono a cuocer la pasta. Ai lati della strada sterrata (della larghezza di una corsia e mezza) ci sono lavoratori che, sotto il sole rovente, lavorano alla costruzione di una strada asfaltata. Sulla strada incrociamo di tutto: camion, pullman, camper di vicentini…
L’unica sosta è breve, per far metano. Siamo quasi arrivati a Khiva. La “toilet” della stazione di servizio è un buco nel terreno circondato da tre pareti. Superiamo l’Amu Darya e finalmente, dopo quasi sette ore di viaggio, arriviamo nel nostro hotel a Khiva, appena dentro alle mura della cittadella antica (Khiva era infatti una cittadella fortificata sulla Via della Seta).
Disidratati e un po’ provati dal viaggio, chiediamo assistenza ai gestori dell'hotel, che ci portano in camera due vassoi di melone bianco fresco e buonissimo, un vero toccasana che ci rimette in sesto in breve tempo.
Partiamo per le strade di Khiva. La città è antica in modo visibile e attraente. Le case sono costruite con mattoni crudi intonacati con argilla mista a paglia. Nella via principale si vedono meravigliose madrase e minareti, tra cui il bizzarro e inconcluso minareto mozzo. Un muezzin canta con voce tonante, accompagnando la nostra magica esplorazione. Al di fuori della via principale non si vede nemmeno un turista; in compenso, troviamo gente che lavora in botteghe (molte di falegnameria). Quando passiamo, smettono di lavorare per uscire e guardarci incuriositi finché non ce ne andiamo. Anche qui, non percepiamo assolutamente alcuna minaccia. Ci sono bambini che giocano per le strade assieme ad asini, mucche, galli, pecore e arieti.
Dopo aver cenato di fronte a una meravigliosa scuola coranica, torniamo in hotel. Anche qui le strade non sono illuminate, e dobbiamo usare la torcia del cellulare per orientarci… fallendo. Fortunatamente, un bambino ci viene in soccorso, indicandoci la via giusta. Andiamo a dormire, pur faticando un po’ a prender sonno a causa del gran caldo.
Dopo una buona dormita, siamo pronti a riaffrontare il caldo uzbeko. Vediamo le porte d'ingresso della cittadella, moschee, minareti e madrase. Nei vari caravanserragli si trovano piccoli “musei” (collezioni disordinate di oggetti di vari secoli). Visitiamo anche l’antico harem (davvero incantevole) e il bazar (poco fuori dalle mura). Khiva un tempo era molto trafficata per il commercio degli schiavi, ma ora è una piccola città - mantiene però, sin dai tempi antichi, un inesauribile fascino, tanto da essere stata inclusa tra i patrimoni dell'UNESCO.
Il caldo è difficile da affrontare... ci rallenta molto, ma non ci impedisce di salire su un minareto da 81 scalini, dal quale possiamo vedere un magnifico panorama di Khiva dall’alto. Vediamo per finire la bella moschea in legno Juma, molto particolare.
Purtroppo questa è la nostra ultima tappa: la sera stessa un autista ci porta a Urgench dove prenderemo l’aereo per tornare in Italia.
Il viaggio è stato di una sola settimana, ma ci ha lasciato molto. L’Uzbekistan e la sua atmosfera magica e misteriosa, così come il suo popolo solare e ospitale, rimarrà sempre nei nostri cuori, e nel riscrivere di questa avventura non può che tornarci una violenta voglia di prendere il prossimo aereo per Tashkent.
Sperando di essere riusciti a trasmettervi anche solo uno spiraglio delle nostre emozioni, vi aspettiamo al prossimo racconto.
Lo staff di Aros